Sono sempre stata affascinata dalle parole a cui da piccola associavo un colore.
Ero attratta dai suoni di alcuni nomi in particolare, di cui magari non conoscevo nemmeno il significato, ma che ripetevo a me stessa come un mantra, perché il solo pronunciarli mi pareva musica, suonavano come formule magiche.
Istanbul. Sarajevo. Yugoslavia. Benares. Kashgar. Tibet. Iran. Afghanistan. Teheran. E tanti altri.
Stuzzicavano la mia fantasia, solleticando e smuovendo corde sconosciute della mente e del cuore.
Sarajevo era rossa, così come Yugoslavia.
Benares era gialla.
Tibet azzurro.
Iran porpora.
Saranno state le “s” sibilanti come un fruscio o le “r” arrotolate e appena accennate. O l’eco di altri passati, tracce di precedenti storie vissute. Chissà.
Poi in qualche modo quelle parole sono entrate nella mia vita, quei suoni si sono cristallizzati in qualcosa di tangibile e il filo rosso del destino – come lo chiamano qui in Asia – mi ha connesso a questi posti in diverse maniere.
Yugoslavia… mio marito.
Tibet… Kashgar… la Cina… i miei studi amati.
Benares… il mio rifugio.
Iran… un’altra mia passione.
Amo il cinema, la poesia, la letteratura iraniana e il suono di questa lingua delle favole.
Ho studiato il persiano per un breve periodo perché volevo ascoltare e cantare a me stessa la musica che compongono le sue parole.
Una cultura antica e ricca come le decorazioni dei suoi tappeti incantevoli di cui è tappezzata la casa di mia madre.
Stasera si festeggia il Capodanno persiano o “Nowruz” che, come quello cinese, indica l’inizio della primavera e dà il benvenuto al nuovo anno.
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Felice Capodanno persiano!
نوروز مبارک
Norouz mobarak!
Buon equinozio di primavera!
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È una festa antichissima, legata alla religione zoroastriana, culto praticato nell’Impero persiano a partire dal VI secolo a.C.. Si tratta di una celebrazione ancestrale collegata all’idea di rinascita della natura e pervasa da un ricco simbolismo. Il giorno del Nowruz solitamente le famiglie lo passano intorno alla tavola imbandita, che viene preparata secondo la regola dell’Haft-Sin: bisogna apparecchiare la tavola con 7 piatti che cominciano tutti con la lettera S, che in farsi si pronuncia Sin.
È un rituale molto bello e dalla forte connotazione simbolica. Ogni alimento rappresenta una specifica caratteristica che ci si augura possa accompagnare il nuovo anno.
I 7 elementi sono:
Sabzeh = germogli di grano, lenticchie o orzo, che devono essere alti e verdissimi, a simboleggiare la rinascita;
Samanu = dolce cremoso a base di grano che rappresenta l’abbondanza;
Sib = una mela rossa e lucida, che simboleggia la bellezza;
Senjed = giuggiole secche, che rappresentano amore e ospitalità;
Sir = aglio, che simboleggia la medicina;
Somaq = sommaco (una spezia di colore rosso usata generalmente per insaporire la carne), che rappresenta il colore dell’aurora e quindi la vittoria della luce del bene sulle forze del male;
Serkeh = aceto, che rappresenta l’età e la pazienza.
(Illustrazione dell’artista iraniana Rashin Kheiriyeh)