« O chi riflette piu` sulla morte? Quella per noi occidentali e` diventata un tabu`. Viviamo in societa` fatte di ottimismo pubblicitario in cui la morte non ha posto. E` stata rimossa, tolta di mezzo. Ogni indovino che vedevo, invece, me la rimetteva davanti.
Gia` nel corso della mia vita com’e` cambiata, la morte! Quand’ero ragazzo era un fatto corale. Moriva un vicino di casa e tutti assistevano, aiutavano. La morte veniva mostrata. Si apriva la casa, il morto veniva esposto e ciascuno faceva cosı` la sua conoscenza con la morte. Oggi e` il contrario: la morte e` un imbarazzo, viene nascosta. Nessuno sa piu` gestirla. Nessuno sa piu` cosa fare con un morto. L’esperienza della morte si fa sempre piu` rara e uno puo` arrivare alla propria senza mai aver visto quella di un altro. » ─ Tiziano Terzani, Un indovino mi disse (1995)
Anche a Varanasi la morte e`quella di sempre, non la si nasconde, ma la si mostra, perche´e`una cosa normale, e`solo un’altra fase della vita e nessuno ne e`immune.
Ho visto il primo morto da piccola, una vicina di casa, e ricordo che non ne rimasi sconvolta. Mi colpirono invece le reazioni dei vivi. Il dolore degli altri mi ha sempre turbato.
Poi crescendo ho perso parenti e amici cari e ho cominciato ad averne paura. La morte e`diventata una parola da non pronunciare, quasi come per non svegliarla e in alcuni momenti della mia vita si e`trasformata in una vera e propria fobia, un’ossessione.
Ma quando sono andata in India, dove la vita e la morte convivono con grande naturalezza, dove la morte e`accettata allo stesso modo di tutti gli altri eventi della vita, dove entrambe le facce della stessa medaglia si intrecciano e si relazionano nel ciclo dell’esistenza, ho guardato a Lei con altri occhi.
A Varanasi, l’antica Benares, c’e`un ghat dove si svolgono i riti della cremazione, il Ghat di Manikarnika (in hindi “ghat” significa scalinata che porta lungo un corso d’acqua): un ammasso di palazzi antichi come l’uomo, l’unico posto che ho visto in India senza un barlume di luce, come una fotografia sbiadita i cui colori sono stati lavati via dal tempo, che qui pare essersi fermato. Un girone dantesco nel buio denso della notte illuminata dai fuochi delle pire.

Morire a Varanasi e`il sogno di tutti i devoti ed e`considerato una benedizione, poiché morire nella città sacra significa ottenere il moksha, la liberazione del ciclo delle reincarnazioni.
I corpi, avvolti in drappi arancioni e gialli e adagiati su lettighe di bambù, vengono trasportati fino al ghat per essere bruciati secondo il rituale induista. Vengono prima bagnati nelle acque sacre del Gange per l’espiazione e la purificazione dei peccati, in seguito vengono posizionati sulle pire intorno alle quali i familiari girano 5 volte, tante quanti sono gli elementi riconosciuti dalla dottrina hindu`: l’etere, l’aria, il fuoco, l’acqua e la terra. In caso di morte del padre e`il figlio maggiore a condurre il rito, mentre in caso di morte della madre e`il figlio minore.
La mia anima era in pace, perché l’India ti riconcilia non solo con la vita, ma anche con la morte.